Ti racconto la mia esperienza al “Bar Napoli” di Milano e come l’essere coerenti può essere trasposto al mondo della farmacia.

Finalmente ho la possibilità di completare questo scritto che avrei voluto inviarti lunedì 29 aprile, giorno in cui mi è accaduto ciò che sto per raccontarti.
Prima di cominciare, ti ricordo che se i miei contenuti dovessero non essere graditi, o semplicemente potresti non avere tempo per leggerli, puoi cancellarti dalla ricezione di queste newsletter aprendo il collegamento in basso nell’email. Non ne sarò felice ma capirò la tua cancellazione della newsletter. Io per primo non sopporto i contenuti non graditi, se non mi portano alcun vantaggio.
Lunedì 29 aprile 2024 sono stato a Milano. Non avendo fatto colazione per via dell’orario mattutino del volo da Napoli, atterrato a Linate ho preso un taxi diretto alla mia pasticceria-bar preferita che è Scaringi, in Via Felice Casati, incrocio Via Lazzaretto (ce ne sono diverse a Milano, dello stesso proprietario).
Da Scaringi mi sono accorto che era chiuso: mi serviva un piano B. Non avendo il piano B, per guadagnare tempo, ne ho approfittato per fare un passaggio dal mio barbiere, in via Vitruvio, a pochi minuti di cammino.
Ho chiesto al barbiere dove fare una buona colazione e mi ha consigliato il “Bar Napoli”, a pochi metri dal barbiere, sempre in via Vitruvio.
Ho individuato il “Bar Napoli” e dopo una veloce analisi mi sono reso conto che non poteva essere il luogo “ideale” dove sedermi comodo al tavolo, fare colazione, leggere l’email, rispondere a qualche messaggio. Ciò nonostante, avevo proprio bisogno di un cappuccino e di un cornetto, così ho deciso di sedermi nonostante vi fossero solo tavolini alti e sgabelli.
Entrando nel “Bar Napoli” sono rimasto colpito per il trambusto nel retro-banco: gli addetti affaccendati, troppo impegnati nelle loro mansioni, e qualche sguardo distratto verso l’esterno, compreso me, che nel frattempo – avendo notato il “clima” – mi sono fermato sperando che qualcuno mi notasse e mi chiedesse di cosa avessi bisogno.
Dopo trenta secondi immobile – sembrano pochi, ma ti assicuro che sono un’eternità –, mentre mi giravo per uscire, un addetto ha notato il mio movimento e mi ha chiesto cosa volessi prendere. Gli ho chiesto quali cornetti fossero disponibili e lui, gentilmente, mi ha elencato i gusti.
Poi gli ho chiesto: sono interessanti i gusti, ma “purtroppo non vedo un posto comodo per sedermi”. Lui mi ha invitato lo stesso a sedermi, così ho ordinato un cornetto al cioccolato e un cappuccino, ho individuato uno sgabello dove riporre lo zaino e un altro dove sedermi.
Il tavolino era pieno di briciole lasciate dai clienti precedenti.
Sino a quel preciso istante avevo avuto un’impressione non ottima, non negativa, ma neutra.
Le briciole sul tavolo mi hanno aperto gli occhi e ho capito che ero capitato nel posto sbagliato: il posto dove mai e poi mai cominciare una giornata.
Ordinati cornetto e cappuccino aspettavo che qualcuno li portasse al tavolino, poi ho capito che erano pronti sul banco, in attesa che io li andassi a prendere, nonostante nessuno mi avesse avvisato che erano pronti, o che avrei dovuto prenderli, in modalità “self”.
Tutto ciò in un clima caotico, distaccato, pieno di “chiacchiere” tra gli addetti. Un luogo dove il personale non era per nulla orientato a valorizzare la presenza dei clienti.
L’esperienza da neutra si trasforma in negativa: il cappuccino in realtà era un latte e caffè, con una schiuma “virtuale”. Il cornetto al cioccolato aveva solo una minima parte ripiena e alle estremità era tutto vuoto.
La cosa che mi ha lasciato più perplesso è stata la freddezza con cui i clienti – me compreso – venivano trattati dal personale.
Mentre bevevo il cappuccino, ho preso il Pc e chiesto la password del wi-fi. Risposta: “Non c’è alcun wi-fi disponibile”. Non che sia una cosa negativa, ma il wi-fi, nei luoghi dove ci si trattiene, può essere utile a non consumare dati del piano telefonico ma a non scaricare la batteria del telefono.
Mentre bevevo il cappuccino, tirato fuori il mio router wi-fi che porto sempre con me, l’ambiente diventava sempre più caotico e ho compreso che per lo più era frequentato da gente “di passaggio”. Così ho preso tutto e sono andato via.
Al mio “grazie, arrivederci”, nessuno – e non mi sarei maravigliato – mi ha degnato di un saluto.
Avrei voluto scrivere una recensione su Tripadvisor e avevo appuntato qualche mia impressione, poi ho pensato: perché non condividere l’esperienza con i titolari iscritti a ComunicareinFarmacia.com?
Avrei voluto titolare la recensione:
«Di “Napoli” ha solo il nome, nulla altro».
Ebbene, vengo al punto centrale della storia.
Quando sento parlare della città di “Napoli”, connotata positivamente, mi viene in mente la gentilezza dei napoletani, il calore, l’amore: tutto ciò che nel “Bar Napoli” a Milano non è stato presente.
Con molta probabilità “Bar Napoli” è stata un’idea di marketing per dare sin da subito l’impressione al destinatario che ci si trovasse in un luogo dove poter rivivere – almeno ideologicamente – ciò che Napoli può dare: passione, calore, ma anche – e soprattutto – un’ottima colazione. La colazione di Napoli, a Napoli, è sacra.
“Napoli” usato a scopo di marketing, dunque, ma in una forma perfettamente incoerente rispetto a ciò che Napoli è. Un’immensa città fatta sì, con problemi e contraddizioni, ma piena di gioie, colori e cose positive, cose che diventano anche esperienze di vita, piaceri e godimento puro, proprio come nel caso del cibo.
Valori, quelli di Napoli, che non ho per nulla ritrovato al “Bar Napoli” di Via Vitruvio a Milano.
Ciò che avrei voluto scrivere in una recensione al “Bar Napoli” è:
_«Cambiate nome, non usate il nome di “Napoli” al solo scopo di marketing perché è un danno di immagine a Napoli e al popolo di napoletani ai loro valori e alla loro storia, nei confronti dei numerosi turisti che entrano nel vostro angolo.
Ah, sì, turisti, mi chiedo: avete un servizio così pessimo perché il vostro posto è frequentato per lo più da turisti che non torneranno mai e poi mai più?
Mi sento di suggerirvi di prendere un treno ad alta velocità e, sempre ad alta velocità, scendere a Napoli per imparare qualcosa sulla “napoletanità” fatta di accoglienza, di amore, ma di buona colazione»._
Cosa c’entra tutto ciò con la farmacia, ti starai chiedendo?
Mi fa molto piacere che sia arrivata o arrivato sino a questo punto della lettura, spero abbia trovato il tempo per poterlo fare, anzi, ti ringrazio di cuore per avermi dedicato del tempo. Ti assicuro che non è cosa da poco.
Ebbene, il problema principale è proprio la “coerenza”, un concetto che in alcuni casi la farmacia è portata a trascurare ma che è centrale rispetto a quanto percepito dal paziente-cliente-utente.
In altre parole, l’operato della farmacia deve essere quanto più coerente possibile ed evitare altri “Bar Napoli”.
Il “Bar Napoli” si professa come qualcosa appartenente a Napoli, con la stessa “promessa” del brand che porta il nome connotato positivamente, ma poi nel concreto eroga ciò che non ha nulla a che vedere con l’idea di Napoli.
In farmacia si corre lo stesso rischio: dall’esterno si cerca di dare un’immagine professionale, di qualità, anche con sforzi comunicativi immensi. Poi, nella realtà, accade che bisogna “scontrarsi” con i fatti.
L’indomani del “Bar Napoli” sono entrato in una farmacia in Corso Buenos Aires, a Milano. Farmacia di una catena di farmacie, sottolineo.
Locale bello, pulito, tutto in ordine, farmacia automatizzata.
Entrato con una richiesta specifica, il collega – con camice ordinatamente sbottonato – mi ha a stento guardato negli occhi, accogliendomi con un bel “prego!”.
Dopo la mia richiesta, il collega ha concentrato lo sguardo sul software gestionale, poi ha schiacciato un bottone e il farmaco è uscito dall’automazione. In attesa che il farmaco “saliva” dal robot, anziché parlare con me e coronare il progetto “idealistico” dell’automazione – ovvero sfruttare il tempo per relazionarsi con il paziente-cliente –, guardava nel vuoto, poggiato alla bocca di uscita, in attesa del farmaco.
Ho pagato con contactless, ringraziato, e via. Ulteriore possibilità di relazione – da parte del farmacista – sprecata.
Detto quanto sopra, la farmacia deve essere necessariamente coerente, sia nella teoria, che nella pratica.
D’altro canto, i farmacisti devono essere adeguatamente formati e informati sulle dinamiche a monte e a valle della relazione. Devono – in primis la titolare o il titolare – approfondire gli aspetti legati all’accoglienza nei locali della farmacia. Questo è un punto centrale: la persona che entra in farmacia ha un problema. Un problema di cui è alla ricerca di una soluzione. I farmacisti sono deputati al trovare una possibile strada e, quando possibile, proporre una soluzione.
Potrei stare ore e ore a scrivere ancora, il messaggio che voglio passarti con questa email è semplice: opera in maniera coerente. Ciò che dici deve essere coerente con ciò che fai e con il posizionamento della tua farmacia.
Come sempre, se vuoi confrontarti su questo o altri temi puoi fissare una video-call gratuita di 30 minuti per una consulenza: apri questo link. Oppure puoi inviarmi un’email o lasciare un commento: leggo e rispondo a ogni risposta.
Un caro saluto, spero di scriverti presto.
Alfonso